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ph Luca Del Pia

STUPOROSA

regia e coreografia Francesco Marilungo

con Alice Raffaelli, Barbara Novati, Roberta Racis, Francesca Linnea Ugolini, Vera Di Lecce
musica e vocal coaching Vera Di Lecce
spazio e luci Gianni Staropoli
costumi Lessico Familiare
foto e video Luca del Pia

produzione Körper | Centro Nazionale di Produzione della Danza
co-produzione Fabbrica Europa

con il sostegno di IntercettAzioni – Centro di Residenza Artistica della Lombardia

con il supporto di Short Theatre Festival, Fuori Programma Festival, Teatro Akropolis & Dracma Teatro – Progetto CURA, Did Studio, Base Milano, Qenhun

progetto selezionato per NID Platform 2024

‘…forse noi non possiamo conoscere il vero motivo per cui stiamo piangendo. Forse non  piangiamo per, piangiamo piuttosto di o con un motivo. Forse le nostre spiegazioni sono solo storie imbastite dopo i fatti.’
Heather Christle, The Crying Book

Così, apparentemente senza motivo, piangono le cinque performer di Stuporosa, dando vita a un pianto che assume varie sfumature, ora trattenuto, ora soffocato, ora si fa musica, ora sfocia nella speranza, ora diviene canto ricalcando le sonorità di un antico lamento funebre salentino. I loro corpi si frammentano alla ricerca di forme arcaiche, lontane, che si perdono e sciolgono all’istante. Queste forme sono le figure di pathos, immagini archetipiche del patire umano che si sono tramandate nel tempo attraverso secoli e civiltà, immagini appartenenti a riti funebri passati ma che hanno valore universale perché da quando è stato creato, l’essere umano ha sofferto sempre allo stesso modo. Le cinque performer cercano di recuperare un senso di collettività, una ritualità, di instaurare nuove forme di mutuo soccorso, sussurrando antiche formule magiche, rievocando danze tradizionali, cantando una ninna nanna salentina.
In Stuporosa, come per certi versi avviene nel pianto rituale, si assiste a una stilizzazione del pathos, una sua de-isterizzazione; e la performance in sé vuole essere un invito a riflettere sullo stato di lutto, sulla necessità umana di un istituto culturale condiviso, di un rito comunitario, per superare momenti di crisi individuali.

debutto
15 settembre 2023
Arena del Teatro India, Roma 
SHORT THEATRE

Vincenzo Sardelli, Le sonorità di Danae 21 con Rizzo-Malatesta, Tidoni e Marilungo, Krapp’s Last Post, 13 Ottobre 2021

I colori rifanno capolino a Danae grazie alla danza di Francesco Marilungo. Che nelle vesti di coreografo e regista, in “Party girl” dirige al teatro Elfo Puccini (il lavoro è in coproduzione con MILANoLTRE) tre fantastiche danzatrici in un gioco che insieme magnifica e stigmatizza la manipolazione della bellezza adolescenziale. Tre televisori in fase di dismissione immortalano angoli cadenti di città notturne. Qui la tentazione è a portata di mano in un motel, nei recessi di una strada solitaria oppure ai margini di una stazione di servizio dalle luci assopite. Per sognare basta pagare. Tutto è in vendita, anche la dignità. Tre lolite avvenenti (Alice Raffaelli, Roberta Racis, Barbara Novati) posano e si muovono a comando su input di una voce maschile. Un mulinello di charme e malizia pone l’attenzione su una bellezza innocente e intrigante. La seduzione è viaggio alla ricerca di sé. L’ammiccamento è prostituzione. L’eros è desiderio di gustare ogni esperienza per esorcizzare la morte e arpionare quel sentimento inafferrabile che è l’amore. La rivelazione è mistero. I costumi da teenager di Efisio Marras costringono a fermare lo sguardo sul corpo come oggetto, reso intrigante dall’alchimia di sguardi e movimenti. Pose ammiccanti avvinghiano gli spettatori, movimenti meccanici, bruschi, schematici, frammentati, decelerati omologano i corpi ai canoni prescritti da moda e pubblicità. Le danzatrici sono ninfe, principesse, cenerentole nei loro abitini colorati e minimalisti. Con grazia e malia padroneggiano la propria femminilità nei coni di luce orchestrati da Gianni Staropoli con l’assistenza di Omar Scala.“Party girl”, è una performance ingenuamente perturbante. Il cambio d’abito è disvelamento. La danza diventa sballo. Lo sballo avvia la nemesi. La nemesi fonda la ribellione e orienta l’emancipazione dalla hybris maschilista e misogina. Le donne in scena, esseri privi di volontà, inaspettatamente trovano proprio nel ripetersi degli ordini che ricevono consapevolezza e assertività.“Party girl” è un lavoro tra immaginazione ed estetica, con un finale controcorrente e uno sguardo agli archetipi ancora da smantellare. Un’ulteriore tappa della crescita di Marilungo, cui Danae ha fatto da chioccia.

Luca Monti, Tre ragazze bellissime e disperate, Ateatro, 12 Ottobre 2021

Danaefestival, appuntamento iridescente che indaga sulla ricerca nelle artti performative, ha proposto in collaborazione con MilanoOltre Party Girl di Francesco Marilungo, danzatore e coreografo in grande ascesa. Il dispositivo è caleidoscopico e strabiliante. Su tre schermi televisivi si vedono immagini quotidiane: strade, contesti urbani, anonimi paesaggi e atmosfere sospese. Con un azzeccato ribaltamento, la scatola teatrale diventa un abominevole e sexy set foto-cinematografico. Assistiamo a un gioco di specchi tra tre ragazze che rispondono a un ordine esterno, ovviamente maschile, tra immagini della moda, lusso, eros gelido, pornografia. Le belle statuine sono moderne Lolita, piano piano in un crescendo da discoteca tossica quanto totalmente rigida e formale acquistano una sorta di indipendenza finché la festa porta una liberazione. Come insegnavano i maestri della drammaturgia contemporanea, sempre sul solco della tradizione giudaico-cristiana, il “festivo” è luogo dello scambio e della sospensione della regolarità quotidiana. Siamo tutti etero-diretti da una voce che ci dice quello che dobbiamo fare, il comando dentro di noi che ci dà del tu e ci invita a un lavoro, ma anche al rispetto della convenzione, alla costruzione sociale, a un sottinteso dover essere sempre all’altezza. Nel momento della festa riusciamo a essere noi stessi e a liberarci da questo schema. Ci si chiede se l’indomani mattina, quando questo carnevale sarà finito, tutto tornerà nella norma, o se queste tre figure sono riuscite davvero a emanciparsi. Nel rompere il carillon, le tre figure eccitate e sovraesposte sono forse fin troppo cariche. La voce sottolinea in un crescendo la fine della dittatura, in un finale bulimico ed eccessivo, che potrebbe essere più tagliente. Gli schermi proseguono imperterriti sul filo della loro narrazione muta. Forse del genere umano resteranno solo pellicole e frammenti catodici, memorie digitali senza corpo. La buona notte della luce che si spegne accoglie la libertà nel buio. Resta solo l’eco di qualcuno che in una canzone pop trova oggi bellissimi e disperati.

 

Lucrezia Ercolani, Francesco Marilungo, appunti per una dialettica del dominio, Il Manifesto, 22 Agosto 2021

«Party girl», performance scenica con tre danzatrici, mette al centro il tema delle sex workers. L’autore racconta la scelta di un tema «specchio di qualcosa di più grande»

La diciannovesima edizione di Kilowatt Festival, rassegna teatrale che si svolge a Sansepolcro in provincia di Arezzo, è stata caratterizzata dalle sorprese. […] La danza è stata particolarmente presente, tra i numerosi lavori visti Party Girl di Francesco Marilungo ha debuttato in prima nazionale. Una riflessione sul mondo delle sex workers che diviene chiave interpretativa per guardare a tutto l’immaginario sul femminile, laddove tra costrizione e libertà l’erotismo compare e si sottrae impercettibilmente dai corpi delle danzatrici Barbara Novati, Roberta Racis e Alice Raffaelli. «La prostituta aveva un ruolo importante nell’antichità, era colei che conosceva i segreti della carne e del corpo» racconta Marilungo, che ha a cuore il definitivo superamento di uno stigma durato troppo a lungo. Lo spettacolo sarà in replica a Padova al Festival Prospettiva Danza Teatro, a MilanOltre per poi approdare a Napoli e a Salerno.

Una voce fuori campo impartisce ordini alle danzatrici, che significato le ha attribuito? È un punto critico del lavoro, perché volevo portare sulla scena quella dialettica di dominio che si instaura nel fenomeno della prostituzione, anche se ritengo che i giochi di potere si inneschino in tutti i rapporti di lavoro salariato. In questo caso specifico la situazione è forse più ambigua, studiando e parlando con diverse sex workers ho compreso che la dominazione non è mai unidirezionale come sembrerebbe. Il voice over comanda i corpi sul palco e li sottopone a posizioni scomode, volevo però che alla fine emergesse una ribellione. Fino agli anni ’70 e ai movimenti femministi la sex worker è sempre stata una figura pagata per il suo silenzio. Volevo dare una voce a queste persone, rimaste silenti per lungo tempo.

Sulla scena ripropone un immaginario di donna modellato dal desiderio maschile, è sottintesa una critica? Volevo riportare uno stato di fatto, senza alcun giudizio. Di sicuro la nostra è una società patriarcale, quindi non credo sia la prostituzione a rendere la donna un oggetto sessuale. Mi sembra piuttosto che sia una lente di ingrandimento su un fenomeno più grande. Volevo che emergesse il processo di oggettivazione del corpo tramite una ricerca sulla qualità del movimento e della presenza, per proporre metaforicamente quel processo in cui la sex worker si mette volontariamente a disposizione di qualcun altro per un periodo di tempo. Ricordo che una prostituta su sette è vittima di tratta, lì c’è una vera e propria forma di schiavitù, ma non è così negli altri casi. Vorrei far riflettere il pubblico sul tema, perché io penso che quel lavoro andrebbe riconosciuto e legalizzato.

È la prima volta che lei non è l’interprete di una sua coreografia, come ha lavorato con le danzatrici? Innanzitutto le ho scelte perché portano sulla scena tre femminilità molto diverse. Volevo che, nonostante l’impostazione schematica dei movimenti, emergesse la loro personalità. Il corpo diviene quasi meccanizzato, ma volevo che il loro sguardo rimanesse umano e che fosse uno spaccato del mondo interiore. Sono molto contento di questa prima esperienza fuori dalla scena, mi piace curare la composizione nei minimi dettagli e dall’esterno c’è una consapevolezza maggiore. Ho avuto una formazione da ingegnere e forse porto con me quel retaggio nel ricercare una scansione quasi matematica. Inizialmente eravamo io e le danzatrici senza alcun sostegno, poi fortunatamente la compagnia Körper, diretta da Gennaro Cimmino, ha visto uno studio di Party Girl e ci ha proposto di produrlo. Nel futuro vorrei continuare l’indagine sul femminile concentrandomi sulla figura della prefica, come ha fatto Ernesto De Martino in Morte e pianto rituale.

Prima che la performance debuttasse è stato presentato al festival di Pesaro il film «Sei ancora tu» di Chiara Caterina, che prende spunto dal lavoro. Non credo al teatro in video o in streaming per cui abbiamo pensato ad un film con una sua vita indipendente, che non fosse una semplice documentazione. Con Chiara Caterina avevamo già collaborato e sapevo che aveva fatto un’esperienza a Santarcangelo, ideata da Filmmaker Festival, che aveva come fine quello di contaminare linguaggio audiovisivo e linguaggio teatrale. Il punto è capire come la macchina da presa si relazioni allo spettacolo dal vivo. Per come l’abbiamo immaginata, la camera introduce un ulteriore livello di voyeurismo rispetto all’oggettivazione dei corpi. Abbiamo girato in pellicola per entrare nella dinamica «one shot», come se si stesse osservando qualcosa di desiderato per la prima volta.

Stefano Tomassini, Danza e Teatro. Reportage dai festival estivi, Artribune, 08 Agosto 2021

In una delle sue ultime lettere da Roma (14 maggio 1900), Oscar Wilde commentava quanto fosse malvagio “comprare l’amore e venderlo”, non senza esclamare subito però: “Quali ore purpuree si possono strappare da quella grigia cosa che si snoda lentamente e che chiamiamo Tempo”. Francesco Marilungo ha perfettamente messo in scena questa aporia, piena anche di ribelle nostalgia, nel suo Party Girl, che ha debuttato in prima nazionale al Kilowatt Festival di Sansepolcro. Nei corpi, difficilmente descrivibili in tutta la loro forza, di Alice Raffaelli, Roberta Racis e Barbara Novati, e tra reperti video dei “luoghi di frontiera” del sesso a pagamento (hotel, club, privé). La composizione è in real time: la voce fuori campo di Marilungo ingiunge strategie di seduzione, rallentamento, sospensione ed esibizione fino alla coercizione cui progressivamente le figure in scena si congedano. Non in un rifiuto di penitenza o di riparazione, ma riaffermativo della legittimità di quelle ore purpuree finalmente sottratte al tempo grigio dello sfruttamento.

Marinella Guatterini, Party, riti e pappagalli, Wall Street International Magazine, 29 luglio 2021

Nel riuscito Party Girl , Francesco Marilungo, danzatore diventato sempre più coreografo, affonda la sua ricerca in una piaga giovanile non solo muliebre del tutto attuale e difficilmente associabile all’idea comune di prostituzione. Ancor prima di vincere nell’ottobre 2020 il “Premio Internazionale Prospettiva Danza Teatro” di Padova con un estratto dello spettacolo che proprio a Sansepolcro ha visto il suo debutto ufficiale, Marilungo si era interessato al sotterraneo fenomeno di chi pone in vendita il proprio corpo senza reale necessità, ma per gonfiare un portafoglio di inutili mercanzie o per pura sfida alle proprie inibizioni. Solo una ventina di anni orsono il prostituere, questa l’etimologia latina di un mercimonio, peraltro sempre esistito, era associato a quella tratta di ragazze per lo più ingannevolmente espatriate con la promessa di chissà quale benessere italiano, o alla reale indigenza di sbandate senza guida. Oggi, invece, pare che il proprio corpo possa essere venduto scientemente e senza estranea forzatura al pari di un oggetto di proprietà di ben scarso valore. Con mano leggera e una progressione coreo-registica, che andrebbe un poco sfoltita, Marilungo ci presenta subito tre giovani assai diverse tra loro – l’algida Alice Raffaelli, la proterva Barbara Novati e la sexy Roberta Racis – in abiti che si adattano alla personalità di ognuna e di cui arriveranno anche a spogliarsi ma senza eccessi. Tutte e tre si esprimono in brevi pose non sempre e non solo audaci: sollecitate dal coreografo che le chiama per nome si presentano in proscenio, di rado fanno comunella (peccato, contingentamento?), tuttavia richiamano l’occhio dello spettatore che si appropria delle loro fisionomie in lenta progressione. Intanto, nel silenzio rotto solo dalla voce del coreografo che da il via e lo stop alle pose delle inaspettate sexworkers, tre schermi, a lato, mostrano autostrade notturne, antri neppure sporchi o invasi da erbacce: non ci sono fuochi, né punti di ritrovo. I filmati creati da Gianmaria Borzillo in tandem con il coreografo, sono desolanti proprio per la loro afasia. Quand’ecco che un fumo copioso invade la scena; sparisce un tondo rosso proiettato sul fondale e le chiamate del coreografo sortiscono l’effetto di una ribellione; tutte le ragazze allegramente ballano, gettano coriandoli luminosi, accendono girandole, ridono e si divertono in un party persino infantile su di una canzone di Battisti che dapprima in sordina si rende poi riconoscibile; la compra-vendita deve essere già avvenuta come ci svela la Racis in lungo accappatoio nero. E tutto deve essere andato bene, tanto che, scomparse dal palcoscenico del Chiostro San Francesco, le tre si vedono correre in abiti e impermeabili quotidiani come giovani qualunque e su di una spiaggia pulita. Pensiamo che poi riprenderanno a pranzare coi genitori, a incontrare i fidanzati, magari a frequentare l’università come se niente fosse. Ahinoi: il potere del denaro ha soverchiato ogni pudore, ogni etico rispetto del dono più prezioso che abbiamo da custodire, il nostro corpo. Un applauso a Marilungo per aver affrontato con ferma delicatezza un tema tanto scabroso e sconforto per questa società davvero malata.

Mario Bianchi, A Kilowatt 21 la danza che sorprende, Krapp’s Last Post, 27 luglio 2021

Di tutt’altra fattura e intendimenti è invece “Party Girl” di Francesco Marilungo, in prima nazionale, che compie una interessante riflessione sul corpo femminile e sulla sua mercificazione. Alice Raffaelli, Barbara Novati e Roberta Racis, al suono imperioso della voce dello stesso Marilungo, mostrano in scena tutti gli stereotipi di genere, attraverso posture e movimenti che nell’immaginario collettivo vengono identificate come capaci di innescare il desiderio sessuale, che poco alla volta si spegne invece davanti ai corpi delle performer, che man mano perdono energia, diventando come oggetti inerti.A fare da contrappunto al tutto, in scena, sono posizionati tre vecchi televisori che trasmettono ininterrottamente video di strade oscure, night club, appartamenti privati dove il sesso viene praticato senza amore. Sarà infine una allegra festa conclusiva quella che, in scena, sottolineerà la gioiosa liberazione delle tre interpreti, che non rispondono più ai richiami della voce del maschio padre e padrone.

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ph Luca Del Pia